Eurocomunismo




Il termine ‘eurocomunismo’ venne coniato in ambito giornalistico nel 1975 per connotare un fenomeno più definito dal punto di vista geografico che da quello politico. Tuttavia, col passare del tempo venne utilizzato per indicare la convergenza ideologica e strategica di alcuni partiti comunisti dell’Europa occidentale che, a partire dalla metà degli anni Settanta, proposero un modello di socialismo nuovo, diverso rispetto a quello che si era venuto formando nei paesi dell’Est a seguito della Rivoluzione d’Ottobre. Il principale partito dell’eurocomunismo fu il Partito comunista italiano (PCI) di Enrico Berlinguer, seguito dal Partito comunista spagnolo (PCE) di Santiago Carrillo e dal Partito comunista francese (PCF) di George Marchais. Il partito comunista di Gran Bretagna, il Partito comunista belga e il Partito comunista Giapponese vennero accostati al fenomeno ma non ne fecero parte in maniera significativa.

La prima domanda a cui si dovrebbe rispondere è: “Quando inizia l’eurocomunismo?”. La risposta però è tutt’altro che semplice, e ogni periodizzazione rischia di essere arbitraria. A prescindere dalla coniazione del termine, i primi fermenti del nuovo fenomeno politico – inteso come convergenza di più partiti comunisti occidentali – possono essere rintracciati negli incontri tra Berlinguer e Marchais che si svolsero nel maggio del 1973, in cui si stabilì «una “cooperazione” dei comunisti nei paesi dell’“Europa capitalistica”» (Pons, 2006). Il passo successivo fu lo svolgimento della Conferenza dei partiti comunisti occidentali, svoltasi a Bruxelles nel 1974, occasione in cui emerse una parziale unità d’intenti tra i comunisti italiani, spagnoli, francesi, inglesi e belgi. Al di là delle divergenze tra i partecipanti sul ruolo della CEE (il PCI aveva da poco lanciato la parola d’ordine di una “Europa né antisovietica né anti-americana”), si trattò di un importante momento pubblico che mise in luce la specificità delle condizioni in cui si trovavano a operare i partiti comunisti dell’Europa occidentale. Successivamente, il fenomeno fu caratterizzato da vari incontri tra italiani, francesi e spagnoli, dalle loro dichiarazioni pubbliche, e dalla volontà di cercare una convergenza sugli obiettivi del comunismo occidentale. Il momento culminante dell’eurocomunismo dal punto di vista mediatico fu la Conferenza di Madrid del 1977, alla quale parteciparono i partiti comunisti di Italia, Francia e Spagna. Tuttavia, da un punto di vista squisitamente politico, quella conferenza può essere considerata come l’inizio di un rapido declino che giunse a compimento tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta.

Prima di elencare le ragioni del declino è necessario enunciare gli elementi caratterizzanti dell’eurocomunismo, che tuttavia non diventarono mai un programma unitario e pienamente condiviso: autonomia e indipendenza dall’Unione Sovietica, ricerca di vie nazionali al socialismo, europeismo, fine dell’anti-atlantismo (che si tradusse nel rifiuto di alterare gli equilibri tra i blocchi), ricerca di convergenze con altri partiti della sinistra, un nuovo rapporto con le masse cattoliche, rinuncia alla completa statalizzazione dell’economia, abbandono di alcune concezioni classiche del marxismo-leninismo (per esempio la dittatura del proletariato), accettazione della democrazia e del pluripartitismo, sono tutte le idee guida che è stato possibile rinvenire durante lo studio del fenomeno. A ben vedere, si tratta di una serie di idee che hanno contraddistinto primariamente il comunismo italiano, ma che possono essere rintracciate anche nelle dichiarazioni di Santiago Carrillo, il leader del PCE. I comunisti francesi, invece, non furono mai pienamente convinti di assumere un profilo occidentale ed europeista anzi, la loro adesione alla piattaforma eurocomunista peccò spesso di strumentalismo, e fu proprio la loro diffidenza nei confronti della CEE e l’aperta ostilità nei confronti della NATO a provocare il fallimento della strategia. Infatti, pur avendo dato chiari segni di scarsa probabilità di successo già da tempo, la fine della stagione eurocomunista si manifestò chiaramente quando il PCF, in nome dell’internazionalismo proletario e della solidarietà di classe, tornò ad allinearsi alle posizioni di Mosca in merito al giudizio di alcune importanti questioni di politica internazionale, ovvero l’intervento sovietico in Afghanistan, l’installazione degli euromissili, e il colpo di Stato in Polonia. Diverso il caso del PCE, il cui leader aveva mostrato una spiccata tensione verso il rinnovamento, che in alcuni casi si tradusse perfino in un atteggiamento sprezzante nei confronti dell’Unione Sovietica. Sebbene il PCI non condividesse l’irruenza delle critiche – in quanto coltivò la speranza di una possibile riforma del comunismo orientale, che sarebbe stata vanificata dalla fine del dialogo con Mosca – il PCE avrebbe potuto essere un possibile partner politico se fosse riuscito a sopravvivere alla transizione democratica della Spagna. Al contrario, il partito di Carrillo subì un rapido declino elettorale, aggravato anche da una scissione provocata dalla fazione interna che rimase ostile alla linea eurocomunista.

I rapporti tra Stati Uniti ed Unione Sovietica furono un fattore fondamentale sia per la genesi dell’eurocomunismo che per il suo fallimento. Infatti, fu proprio l’inizio del processo di distensione tra le due superpotenze ciò che permise il dinamismo di alcuni soggetti politici come la socialdemocrazia tedesca e il comunismo occidentale, che proposero rispettivamente la Ostpolitik e l’eurocomunismo. Tuttavia, sia gli Stati Uniti che l’Unione sovietica basarono la loro politica estera in Europa su un concetto statico della distensione, che non prevedeva il protagonismo di ulteriori soggetti politici all’interno di questo rapporto esclusivo; perciò l’iniziativa dei comunisti occidentali – e in particolare del PCI – fu interpretata come una intollerabile alterazione dell’equilibrio tra i blocchi. Così, mentre gli Stati Uniti cercarono di scongiurare l’avvicinamento dei comunisti italiani al governo, l’Unione Sovietica si adoperò per ostacolare i partiti eurocomunisti in modo tale da impedire la formazione di un polo occidentale del comunismo, alternativo a quello sovietico.


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